Ci sono pochi registi che hanno osato sfidare la grande macchina del cinema americano, portando alla luce verità storiche che spesso vengono mascherate come semplice “intrattenimento” dall’industria audiovisiva statunitense. Uno di questi è Kevin Costner, che in questi giorni si trova a Roma per presentare il suo ultimo film, Black & White.
Non ammiro Costner tanto per le sue abilità attoriali, quanto per il coraggio che ha dimostrato nel raccontare la vera storia dei nativi americani nel suo capolavoro Balla coi lupi. Per decenni, il cinema americano ci ha imposto la solita narrazione nei film western: i cowboy erano gli eroi e i nativi americani i nemici selvaggi. Questa rappresentazione ha condizionato generazioni, presentando come epica conquista quello che in realtà era un crimine contro un popolo. Costner ha infranto questo schema, producendo un film che raccontava la storia da una prospettiva autentica, contraddicendo ciò che l’industria cinematografica americana aveva finora diffuso al mondo. Ha avuto il coraggio di raccontare la verità.
In questa scia di autori che hanno scelto di svelare realtà scomode, si colloca anche Mel Gibson, un altro figlio di Hollywood che, con La passione di Cristo, ha portato sul grande schermo una narrazione degli eventi che ha suscitato non poco imbarazzo nella comunità ebraica statunitense, storicamente molto influente nell’industria cinematografica e, di riflesso, nella comunicazione globale.
Con Black & White, Costner torna ad affrontare un tema spinoso e sempre attuale: il razzismo negli Stati Uniti. Non vedo l’ora di andare a vederlo e spero che, anche questa volta, emerga quella verità che troppo spesso viene distorta da chi gestisce la narrazione mediatica. Costner, come pochi, ha la capacità di usare il cinema non solo per intrattenere, ma per riflettere, provocare e far emergere realtà che altrimenti rimarrebbero nell’ombra.








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