Ho smesso di seguire il calcio quando è stato fagogitato da un sistema economico che ha cancellato la passione di fronte al dio danaro. Ma di fronte alla perfezione di questa attività sportiva, non potevo fare a meno di essere coinvolto. Non ho mai incontrato, né fatto una foto con Diego Armando Maradona, ma era come se appartenesse alla mia vita così come la natura che circonda il mio vivere quotidiano. Qualcosa che non vedevi tutti i giorni, ma sapevi che era lì, non nel tuo giro d’azione, ma che esisteva. Non l’ho conosciuto personalmente, ma l’ho incontrato tramite i racconti di un mio amico argentino che era appena ritornato dal Sud America, dove era nato e aveva vissuto la sua infanzia. Diego ancora non era conosciuto nel mondo occidentale, ma il mio amico, mi parlava di questo genio che aveva visto giocare nelle favelas argentine e che secondo lui era qualcosa di inspiegabile. Me lo raccontava così bene, minuzioso nei suoi dettagli, che quando apparve per la prima volta a livello internazionale, mi sembrava già di conoscerlo, confermandomi le entusiastiche sensazioni del mio amico. Gli uomini sono destinati ad un luogo dell’anima, e il fato, o se volete il destino, per Diego aveva scelto una città molto particolare, secondo me forse la migliore, per un uomo così speciale: Napoli. E fu subito incoronato, da quella città che aveva vissuto gioie, dolori, guerre, soprusi e occupazioni millenarie. Diego, a differenza di Masaniello, rappresentava la speranza, la fede in un domani migliore, per tutti gli abitanti di una città straordinariamente bella, ma a volte anche così deplorevole, per il comportamento di taluni suoi abitanti. Quel piccolo uomo, quel genio sportivo, ha regalato tutto se stesso a quel luogo, e i suoi abitanti gli hanno concesso tutto quello che potevano dargli. Da tempo il Re era in esilio, ma il popolo pur non potendolo vedere, ogni giorno erano felici e consapevoli che comunque c’era, nei ricordi, nei murales, nelle effigi come un santo, nel suono dei nomi dei loro figli. Invisibile, ma c’era. Con la sua morte, muore anche il popolo napoletano, quello della speranza, quello del rifugio verso una luce, seppur temporanea, di gioia momentanea. È morto nell’anno nero, quello della peste, che si porta con sé chiunque, senza rispetto, anche un Re. Ma un Re può diventare un Dio, un mito. E i miti non muoiono mai, continuano a vivere, nella loro leggenda.
Quando muore il Re.

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