










Non avrei mai immaginato di mettere piede in Cina, ma come si suol dire: “mai dire mai”. L’Asia, per me, era una meta lontana, sebbene fossi sempre stato affascinato dalla sua storia, dalle tradizioni e dalla cultura. Un viaggio che avevo sempre considerato costoso e forse irraggiungibile, fino a quando il destino, o meglio le circostanze della vita, mi hanno offerto un’occasione che non potevo rifiutare. Invitato dal prestigioso Politecnico di Hong Kong a parlare del fenomeno del “Movie Induced Tourism” (Cineturismo) – di cui ero uno dei promotori in Italia e in Europa sin dal 2003 grazie al progetto “Cinema e Territorio” – nel 2006 sono approdato per la prima volta nel continente asiatico.
Hong Kong mi ha catturato immediatamente. È uno di quei luoghi che, appena li vedi, ti avvolgono con la loro storia e identità. Avendo vissuto per un decennio negli Stati Uniti, ero convinto che nessuna città potesse competere con la magia di New York. Ma dopo aver visto Hong Kong, ho cambiato idea. Ufficialmente tornata sotto il controllo cinese dopo più di un secolo di dominio britannico, la città viveva una fusione unica: il rigore britannico che si mescolava con la millenaria cultura cinese.
Nel lussuoso albergo dove alloggiavo, ospite dell’organizzazione, il buffet era un perfetto mix di culture culinarie. A colazione sembrava di attraversare i sapori di Oriente e Occidente. Ma ciò che più mi ha colpito non sono stati i famosi grattacieli o la skyline mozzafiato, per quanto impressionanti, bensì la metropolitana. Sì, proprio la metropolitana. Con oltre 4 milioni di passeggeri al giorno, è il sistema di trasporto pubblico più efficiente dell’ex colonia britannica. Ogni stazione ha un’identità cromatica diversa, con pareti rivestite da piccole piastrelle luccicanti: verdi, gialle, rosse e così via, per un totale di 82 stazioni, ognuna caratterizzata da un colore unico. Mi affascinava la loro perfezione: non sono riuscito a trovare una singola piastrella fuori posto.
La pulizia, l’efficienza e la disciplina della metropolitana erano disarmanti. Non potevo fare a meno di pensare a quanto le grandi metropoli come Roma o New York sembrassero disorganizzate e caotiche al confronto. Eppure, nonostante il mio scetticismo iniziale, negli anni successivi ho avuto modo di tornare a Hong Kong più volte per motivi legati al cinema e al cineturismo, e la città non solo non è peggiorata, ma sembra addirittura migliorata. I cittadini sono educati e disponibili, e quasi tutti – dai commercianti ai passanti – parlano inglese (cosa rara da noi, dove talvolta nemmeno i vigili lo conoscono).
A parte le stagioni piovose e l’umidità perenne, Hong Kong è una città straordinaria. Tra modernità e tradizione, si passa dai negozi di elettronica nel quartiere “Sai Yeung Choi Street” ai mercati caratteristici come il “Ladies Market” o il mercato notturno di “Temple Street”. Panorami incredibili, come il Victoria Peak, raggiungibile con uno storico tram su una salita ripidissima, o la vista della skyline dai traghetti dello “Star Ferry”. E poi c’è la statua di Bruce Lee sul lungomare di Tsim Sha Tsui, un tributo a uno degli attori più amati del cinema internazionale.
La cucina cantonese merita una menzione a parte. I sapori sono completamente diversi da quelli dei ristoranti cinesi che troviamo in giro per il mondo. Provare i “dim sum” nei locali tradizionali è un’esperienza unica. Ci sono ristoranti che preparano dai 30 ai 40 tipi diversi, e tra i più famosi ci sono gli “har gau” (ravioli ripieni di gamberetti) e i “siu mei” (ravioli al vapore con maiale). Se vi capita, non perdete l’occasione di pranzare al “Jumbo”, un ristorante galleggiante raggiungibile solo con una “sampan” (la tipica barca locale).
Hong Kong è solo un punto di partenza. Da qui ho esplorato anche l’isola di Lantau, dove si trova il più grande Buddha dell’Asia, e Macao. Ma queste sono storie per un’altra pagina dei miei viaggi in Cina.
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