A settembre, ad Ischia, quando arrivava il tempo della vendemmia, ci si recava alla tenuta sul Montagnone di “Giulio e Mungill”, armati di forbici e tino in legno per raccogliere l’uva. Tra una lotta e l’altra contro gli insetti che non ti davano tregua, si riempivano i tini per poi svuotarli nel “palmento”. Dopo aver lavato bene i piedi, si procedeva con la prima pigiatura dell’uva, che poi passava al torchio a mano. Nella casa rurale, situata al piano superiore della cantina, la moglie del proprietario ci deliziava con un piatto di bucatini e coniglio, rigorosamente cucinato in un coccio di terracotta. Il tutto era accompagnato dal vino della vendemmia dell’anno precedente.
Non c’erano molti altri svaghi, oltre ai bagni settembrini, e la sera si tornava a casa distrutti. Ma per noi ragazzi di quella generazione, e in particolar modo per me, che venivo da una città come New York, quell’esperienza era qualcosa di straordinario. Quante di queste tradizioni dovremmo riproporre per riscoprire il valore delle nostre radici?
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